Descrizione

Nel cuore della città si erge solenne e maestoso un edificio chiaramente incompleto, anche se agibile nella parte già esistente.
La progettazione del palazzo si deve forse a Carlo d’Aprile, famoso architetto del senato palermitano, ma i lavori furono seguiti da un cappuccino, fra Pietro da Genova. La prima pietra venne posta nella primavera del 1651.

Il progetto prevedeva l’abbattimento della precedente residenza dei Moncada e la sua sostituzione con la nuova costruzione che aveva dimensioni molto più estese.

A questo scopo venne, infatti, demolito un intero isolato di casette al posto del quale venne edificato il lato posteriore del palazzo nuovo. Solo dopo aver finito questa prima parte dei lavori sarebbe stata costruita la parte anteriore, con un largo fronte sulla Strada Grande.
In tutta l’ala edificata vennero effettuati i lavori di intaglio: furono scolpiti i mensoloni in pietra che dovevano sorreggere la lunghissima balconata che circondava il piano nobile, con figure antropomorfe e zoomorfe, e tutte le cornici delle finestre e delle porte esterne ed interne. Ma la partecipazione del principe Luigi Guglielmo ad una congiura antispagnola, portarono al suo allontanamento dalla Sicilia e provocarono prima un rallentamento dei lavori ed in seguito la loro interruzione.

Oggi il palazzo restaurato e riaperto alla città è sede di mostre, incontri culturali e concerti. Nel piano ammezzato ha sede il museo dedicato a Michele Tripisciano. Le quattro sale espositive disegnano il percorso artistico ed umano dello scultore: dalle opere della giovinezza sino a quelle della maturità, dagli studi per le grandi opere romane, come il monumento a Gioacchino Belli posta al centro dell’omonima piazza a Trastevere a Roma, ai bozzetti di natura familiare. È un viaggio attraverso la bellezza, da compiere con lo sguardo attento per cogliere l’intensità espressiva dell’anima che Michele Tripisciano, ha saputo infondere alla materia inerte.

La famiglia Moncada, di lontana origine spagnola, per diversi secoli fu padrona di moltissimi territori siciliani, dall’Etna alle Madonie ed accumulò potere e ricchezza  in modo tale da essere considerata tra le più importanti famiglie aristocratiche siciliane. Essi avevano i titoli di principi di Paternò e conti di Caltanissetta oltre ad un’altra decina di titoli minori legati alle baronie che possedevano.

Per quattrocento anni dal 1407 al 1812,  i Moncada furono i feudatari di Caltanissetta, inizialmente un piccolo borgo rurale che essi trasformarono in una città degna del nome e della potenza di cui erano portatori. Fecero costruire nuovi quartieri, disegnarono un nuovo impianto viario che aveva il suo fulcro in una grande piazza scenografica, fecero erigere nuove grandi chiese (la Chiesa Madre Santa Maria la Nova, Sant’Agata al Collegio, Santa Croce).

Inoltre nel ‘600, al culmine della loro potenza, fecero edificare due palazzi proprio nel cuore della città: il primo – che il principe Luigi Guglielmo Moncada aveva destinato ad essere la sua residenza – era grandioso per le dimensioni, decorato da sculture in pietra, da splendidi portali, da mensoloni antropomorfi e zoomorfi.

Il secondo edificio, molto più modesto nel suo aspetto esterno, era un’opera di beneficenza che lo stesso principe aveva voluto nella propria città:  era il “reclusorio delle orfane”, una sorta di ospizio in cui dodici fanciulle povere sarebbero cresciute lontane dai pericoli della strada.

Le due costruzioni, che gravitano entrambe nel centro storico della città hanno avuto negli anni destini diversi: il Palazzo Moncada, mai terminato per le note vicende politiche che coinvolsero il principe Luigi Guglielmo, fu destinato ad essere sede del tribunale ed oggi, restaurato, è sede della Galleria d’arte moderna all’interno della quale si conservano pregiate collezioni di sculture, di Tripisciano e di Frattallone.

Il reclusorio delle orfane, divenuto poi sede della corte d’appello, ospita oggi la sede del Consorzio Universitario.

Testo a cura di Rosanna Zaffuto Rovello